Il Tirreno – Vent’anni senza le parole di Carlo Coccioli: lo scrittore livornese che ha sfiorato il Nobel
Letteratura: il personaggio
Vent’anni senza le parole di Carlo Coccioli: lo scrittore livornese che ha sfiorato il Nobel
di Marco Ceccarini
Scomparso il 5 agosto 2003. Nato nel 1920 era sempre rimasto legato alla città: ha vissuto in Francia e Messico
Come oggi, vent’anni fa, se ne andava a a Città del Messico, dove visse tre quarti della propria esistenza, lo scrittore Carlo Coccioli, uno dei maggiori narratori italiani contemporanei, il cui nome è stato più volte accostato al Nobel per la letteratura.
Coccioli era nato a Livorno il 15 maggio 1920 e alla città natale rimase sempre legato, tanto che alla metà degli anni Novanta tentò perfino un improbabile ritorno alle origini prendendo casa, con il figlio adottivo Xavier, nel rione della Venezia.
Coccioli scriveva regolarmente in italiano, francese e spagnolo ed i suoi libri sono stati pubblicati in una ventina di lingue del mondo. Era un uomo di enorme cultura ed intensa spiritualità. Traduttore di sé stesso, ha attraversato, praticandole, ben quattro religioni: cattolica, ebraica, induista e buddista.
Tra le sue opere più famose, “Il cielo e la terra” del 1950, “Fabrizio Lupo” del 1952, “L’erede di Montezuma” del 1964, “Uomini in fuga” del 1972, “Davide” del 1976 con cui fu finalista al Campiello e vinse il premio Basilicata, “Piccolo Karma” del 1987, “Budda” del 1990, “Tutta la verità” del 1995. In Messico veniva definito l’antagonista di Octavio Paz, in Francia il Gide italiano, con chiaro riferimento allo scrittore André Gide.
Lontano discendente per parte di madre di Amedeo Modigliani, nonostante la vasta eco a livello internazionale, Coccioli non è mai stato adeguatamente valorizzato in Italia. E non lo è neppure oggi, nonostante gli sforzi del nipote Marco Coccioli, che da anni si batte per il recupero dell’opera letteraria dello zio.
Il trasferimento in Francia agli inizi degli anni Cinquanta, quindi in Canada, Bolivia, Stati Uniti e infine in Messico appena pochi anni dopo, ha certamente influito sul fatto che in Italia non ha avuto la considerazione che avrebbe meritato. Tuttavia, se non ha goduto della popolarità di cui ha invece beneficiato all’estero, è anche perché il mondo editoriale italiano lo ha ostacolato, visto che ha sempre avuto molti lettori anche in Italia. Il critico letterario ed accademico Carlo Bo lo definì “uno scrittore alieno”, Curzio Malaparte disse che i suoi dialoghi erano “taglienti, intensi, anche allucinanti”, mentre Pier Vittorio Tondelli lo definì “lo scrittore assente” per la sua capacità di essere sulla scena letteraria nonostante vivesse a migliaia e migliaia di chilometri di distanza.
Il nome di Coccioli, tra gli anni Settanta ed Ottanta, è stato accostato per ben tre volte al Nobel. I critici gli riconoscono il merito di aver introdotto in letteratura il tema dell’omosessualità in una poetica di conciliazione con la fede. In questo, in effetti, è stato un precursore. Ma questa sua scelta l’ha anche duramente pagata. Non bisogna infatti dimenticare che a causa dello scalpore che suscitò con i suoi romanzi dovette abbandonare prima l’Italia e poi l’Europa agli inizi degli anni Cinquanta.
Il suo rapporto con Livorno, città della madre Anna Duranti, è stato controverso. L’anima livornese la descrisse alla perfezione nella pubblicazione “La Toscana paese per paese” dei primi anni Ottanta, mentre nell’enorme volume “Itinerario nel caos” del 2000 fece capire in modo netto che avrebbe voluto un altro rapporto con “la mia Livorno natìa”.
I romanzi di Coccioli sono stati spesso pervasi dall’esperienza religiosa e il suo percorso di vita è stato soprattutto un percorso spirituale. Ha avuto il coraggio di parlare dell’omosessualità quando ciò era tabù ed è stato uno dei primissimi a trattare i temi dell’alcolismo e dell’animalismo. Se in Italia esistono i gruppi degli alcolisti anonimi è anche merito suo. È stato un cinofilo e si è battuto strenuamente contro la vivisezione animale.
Coccioli è morto il 5 agosto 2003. Oggi riposa nel villaggio messicano di Atlixco, nello stato di Puebla, ma aveva espresso il desiderio di essere sepolto a Livorno.
A vent’anni di distanza sarebbe importante riscoprire Carlo Coccioli per valorizzarne anche la persona, oltre che l’indiscussa originalità letteraria. La cultura e la società italiana ed europea devono molto a quest’uomo che, tra l’altro, fu anche medaglia d’argento al valor militare della Resistenza.
Livorno, negli anni, gli ha intitolato una strada nei pressi degli scali Novi Lena dove era nato e gli ha conferito la Livornina d’Oro alla memoria. Il Rotary Club Livorno, da tempo, è impegnato nel progetto di apporre una targa in suo onore al Famedio di Montenero. Il Comune di Livorno sembra d’accordo. Quella targa andrebbe incontro a un desiderio confidato agli amici dello stesso scrittore.
Coccioli è stato generoso con Livorno. Quando risiedeva in città, regalò tutte le sue opere letterarie al Comune. Inoltre, nel testamento, ha fatto dono ai livornesi del suo inestimabile fondo contenente manoscritti, carteggi, lettere private e missive pubbliche, beni di vario tipo. Si tratta di un lascito di grande valore culturale e materiale. Ma vent’anni dopo, a quanto risulta, il fondo Coccioli è ancora nel lontano Messico.